8 marzo: Giornata Internazionale della donna.
Fiore: mimosa.
Secondo i Nativi Americani i fiori della mimosa significano forza e femminilità. La pianta cresce in terreni e condizioni ostiche e difficili: per questo è simbolo di resilienza. Fiorisce tra febbraio e marzo e il suo colore giallo brillante ispira speranza per la fine del lungo inverno e l’arrivo della primavera.
Forza, resilienza, speranza: 3 caratteristiche che spinsero le partigiane Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei a scegliere la mimosa come pianta emblema della Giornata della donna nel 1946. Da allora, in Italia la mimosa è abbinata all’8 marzo.
La Giornata internazionale della donna celebra i progressi in ambito economico, politico e culturale raggiunti dalle donne in tutto il mondo, giornata istituita ufficialmente dall’ONU nel 1977.
Ogni anno l’ONU definisce un tema per l’8 marzo. Per il 2021 il tema scelto è: “Le donne in un mondo del lavoro in evoluzione: verso un pianeta 50-50 nel 2030”.
Lo scopo è promuovere il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, e nello specifico gli obiettivi numero 5 e 4. L’obiettivo numero 5 si focalizza sull’uguaglianza di genere e sull’empowerment delle donne e delle ragazze; il numero 4 si incentra sull’accesso globale alla formazione di qualità e all’apprendimento continuo.
Purtroppo, ancora oggi molte donne e ragazze nel mondo continuano a essere vittime di violenza e discriminazione. Ancora oggi solamente due terzi dei paesi nelle regioni più sviluppate hanno raggiunto la parità di genere per ciò che concerne l’educazione primaria.
E la pandemia ha aggravato il problema del cosiddetto gender gap, cioè il divario di genere.
Secondo l’Istat, a dicembre, le persone occupate sono diminuite di 101mila unità, un numero altissimo, ma reso ancora più preoccupante dalla suddivisione di genere con cui questo è avvenuto. Si è trattato infatti di un crollo quasi esclusivamente femminile, con 99mila donne che si sono trovate disoccupate o inattive. Un fenomeno che si ritrova, sebbene con numeri un po’ meno estremi, anche guardando a tutto l’anno. Delle 444mila persone occupate in meno registrate in Italia in tutto il 2020, il 70% è costituito da donne.
Senza dubbio, la prima ragione risiede nella natura stessa del lavoro femminile in Italia.
Le donne sono impiegate soprattutto nei settori che più di tutti stanno vivendo la crisi, come quello del commercio, dell’istruzione, dei servizi e, non ultimo, quello domestico, spesso con contratti che danno poca sicurezza e stabilità, come il part-time.
Ma a ben guardare, a questo si associa la causa sociale, che vuole che in Italia, tradizionalmente, le donne si facciano carico del lavoro di cura famigliare, che con il lock down e la chiusura delle scuole ha costretto molte donne a dover conciliare lavoro e famiglia, se non a dover scegliere in modo esclusivo tra cura dei famigliari (siano essi bambini o anziani) e lavoro.
Occorre agire sulle politiche di conciliazione, sul divario salariale, sui servizi di welfare, sull’accesso alle professioni manageriali, …, ma anche sui comportamenti individuali.
C’è molto lavoro da fare.
Il sogno è un mondo senza più divari tra le persone e non solo di genere. Un mondo in cui tutti possano essere chi vogliono, e abbiano le stesse opportunità per seguire le proprie strade.
Troppo ambizioso? No, perché la strada per arrivarci è lastricata di migliaia di piccole azioni, individuali, messe in pratica ogni giorno.
Individualmente, siamo tutti responsabili dei nostri pensieri e delle nostre azioni – tutto il giorno, ogni giorno. Possiamo tutti scegliere di sfidare e abolire i pregiudizi di genere e la disuguaglianza. Possiamo tutti scegliere di cercare e celebrare le conquiste delle donne. Collettivamente, possiamo tutti contribuire a creare un mondo inclusivo. Dalla sfida nasce il cambiamento, quindi scegliamo tutti di sfidare (traduzione da IWD – 2021 theme).
#ChooseToChallenge è la campagna lanciata per il 2021 dall’International Women Day. Alza la mano e accetta la sfida!
La cooperazione è tra i settori imprenditoriali a più alta concentrazione femminile. Come ha dichiarato il presidente Gardini in occasione proprio dell’8 marzo 2021:
6 persone occupate su 10 sono donne
Ma questo non significa che la situazione sia perfetta.
La pandemia ha tolto i veli ad alcune fragilità che già esistevano: pensiamo alla sanità, alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, alla mancanza di infrastrutture sociali, all’inadeguatezza della scuola e alla povertà educativa e alle conseguenze che tutto ciò ha avuto in primis sulla vita lavorativa e personale delle donne.
Ha affermato la vicepresidente di Confcooperative e presidente della Commissione dirigenti cooperatrici Anna Manca, che continua
Quello appena trascorso è stato un anno particolarmente impegnativo per noi donne lavoratrici e imprenditrici che rappresentano il 70% della forza lavoro impegnata in prima linea nei servizi socio-sanitari, socio assistenziali e servizi ausiliari, così come le occupate nelle cooperative impegnate in servizi educativi, scolastici e di produzione lavoro coinvolte dall’incertezza del momento. Più del 50% della forza lavoro nelle cooperative della cultura, del turismo e dello sport: i settori più colpiti. Presenti anche nel settore primario, agricoltura e pesca, dove la forza lavoro femminile è presente, attiva e determinante».
Ogni giorno tutti i giorni, molte sono le azioni che possiamo compiere nelle nostre cooperative.
9 le azioni che la Commissione dirigenti cooperatrici di Confcooperative ha individuato.
Lo slogan scelto dalla commissione è Le pari opportunità non si improvvisano, si allenano, proprio a sottolineare che la scelta deve essere quotidiana e costante.
12 sono le azioni individuate dal UN Women, e vanno dalla condivisione dei carichi di cura nelle famiglie, al denunciare il sessismo e le molestie, alla condivisione dei lavori domestici, al rispetto per le scelte, in tutti i campi, compreso quello sessuale, degli altri.
Il cambiamento passa dall’educazione: educhiamo le nostre figlie che qualsiasi lavoro è adatto, rifiutiamo gli stereotipi di genere che vogliono i maschi forti e le femmine emotive.
Lavoriamo perché si affermi la cultura dell’essere fuori ciò che ci si sente di essere dentro, e che questo non pregiudichi in alcun modo l’accesso alle opportunità (lavorative e non).
“Non esistono parole sbagliate. Esiste un uso sbagliato delle parole.“
È il motto del progetto Parlare Civile, creato qualche anno fa da Redattore Sociale e dall’associazione Parsec, il cui sottotitolo è:
Comunicare senza discriminare.
Le parole, di per sé, non sono sbagliate. Ma il modo in cui le mettiamo insieme e poi le usiamo per esprimere i nostri pensieri, può trasformarsi in un’arma di offesa e di mancanza di rispetto. Le parole che scegliamo di usare danno forma al pensiero e al mondo intorno a noi.
Alice Orrù, Cos’è il linguaggio inclusivo
Ciò che non nominiamo non esiste.
Ciò che nominiamo male, rimane incastrato tra le grate del pregiudizio.
Il pensiero si forma con le parole che usiamo. La forza generativa delle parole è potentissima. Allora iniziamo da qui!
Il dibattito è acceso, e va molto oltre la semplice declinazione al femminile di lavori tradizionalmente definiti al maschile. Se si cerca su Google Linguaggio inclusivo si trovano oltre 1.010.000 risultati.
Facciamo attenzione a come parliamo e, ancora di più a come scriviamo. Non per mero esercizio linguistico, ma perché attraverso le parole veicoliamo chi siamo e come la pensiamo e, peggio, contribuiamo a rafforzare stereotipi.
E, soprattutto, non ragioniamo solo in ottica di genere, anche se è importante. Partiamo dal considerarla, innanzi tutto, una questione di rispetto.