Sogno. Istituzione. Prospettive. Riassume così Fabrizio Ghisio, segretario generale di Confcooperative Piemonte Nord, la sua idea di cooperazione. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua storia e scoprire le sue idee per il presente e anticipare un po’ il futuro.
Mi racconta la sua storia?
Ho 57 anni, sono figlio di agricoltori che decidono di cambiare vita e, dal vercellese e dall’alessandrino, si trasferiscono a Ivrea per fare i commercianti.
Qui cresco fino ai 14 anni come “il figlio del tabaccaio”: scuola, sport, tempo libero, viali e banco del negozio.
Ci trasferiamo a Torino, nel 1978, frequento il D’Azeglio; mi appassiono a tutto tranne all’attività curricolare.
Conseguito il diploma, Seguo un corso per educatori e mi ritrovo, prima del titolo, educatore nella cooperativa Crescere Insieme, realtà nata nel ‘79.
Qui i mondi che si incrociano sono strani, strampalati e impregnati di differenze. Nel frattempo, visto che come socio lavoratore rompo le scatole mi chiedono di entrare in consiglio d’amministrazione, magari la cosa mi fa mettere la testa a posto.
Obiettore di coscienza al servizio militare, vengo assegnato alla Caritas diocesana di Torino: qui mi occupo di fare i colloqui di ingresso a chi vuole fare servizio civile e ne oriento la destinazione di servizio; è per me l’occasione per conoscere buona parte del mondo dell’associazionismo e del volontariato degli Anni 80 di matrice cattolica.
Congedato, torno alla cooperativa e comincio a coordinarne i servizi. Incontro Confcooperative e contemporaneamente divento Vicepresidente del Consorzio Ics dove mi occupo di sviluppo e coordinamento.
Dopo una divergenza di vedute con il gruppo dirigente, lascio il Consorzio e giro l’Italia occupandomi di consulenza allo sviluppo e alla direzione per conto del Consorzio CGM.
Nel frattempo mi sposo, ho due figli e pendolo fra Acqui Terme, Roma e Torino.
Mi offrono l’incarico di direzione di Confcooperative di Torino. Inizio nel ‘99, allora ero uno dei dirigenti più giovani d’Italia, ora sono fra i più vecchi.
Oggi l’area di competenza territoriale ricomprende anche le Provincie del quadrante e la sua nuova denominaizone è Confcooperative Piemonte Nord, i figli sono diventati maggiorenni e mia moglie ricopre da diversi anni la carica Presidente di una cooperativa sociale.
Ognuno di noi lancia traiettorie e si ritrova in un mondo di solchi che sono segno della sua natura e, ad oggi, sono molto soddisfatto dei miei percorsi e di ciò che faccio.
Cosa c’è nella sua personalità che c’è anche nelle cooperative?
Ci sono cose che mi fanno stare bene nelle cooperative e confido siano parte di me.
Le cooperative sono un luogo dove le persone possono giocare una propria scommessa e fare delle scelte per sé senza portare via niente a nessun altro.
Mi piace, in particolare nella cooperazione sociale, l’idea che ognuno di noi possa essere un’opportunità e una risorsa a prescindere da ciò che è e da ciò che è stato, senza pregiudizio alcuno. Gli errori non sono qualcosa che esclude. C’è sempre lo spazio per ricominciare.
La cooperazione è un pontiere: getta fili che legano e tengono insieme mondi fragili, in difficoltà che, senza filo, diventano conflitto. Dalle sofferenze più grandi nascono le esperienze cooperative più importanti.
La cooperazione oggi ambisce a essere impresa, mercato, competizione ma quella a cui voglio bene è quella che fa uno scalino insieme ai più fragili e lo fa partendo dal basso. Mi piace l’idea di emancipazione e prospettiva. Ecco, cooperativa è prospettiva.
Per un attimo avevo capito pompiere invece di pontiere….
A volte ci sono luoghi di non mercato che, se non ci sono regole e vengono abbandonati a se stessi, diventano luogo di incendio.
Le racconto una storia. Ai primi del 900 c’erano signori che accoglievano i viaggiatori nelle stazioni e spostavano valigie: una delle prime cooperative è stata “Portabagagli Porta Nuova e Porta Susa”. Non era un’esperienza di successo di mercato ma di persone che, insieme, hanno costruito le condizioni per generare un reddito dignitoso partendo da là.
Ci sono oggi molte situazioni che ricordano quell’esperienza pionieristica. E che potrebbero trasformarsi in conflitti pesanti. In molti casi, la cooperazione può essere una soluzione.
Ad esempio, oggi una situazione molto simile all’esperienza dei fattorini di inizio ‘900, è vissuta dai riders, lavoro che si è sviluppato moltissimo in relazione allo sviluppo del food delivery, consegna a domicilio di pasti ordinati su internet. Anche i riders, come i fattorini, sono assurti all’onor della cronaca perché sfruttati e mal pagati, non in regola con nessun contratto. Un gruppo di riders lombardi ha creato una cooperativa proprio per gestire da sé il proprio lavoro e il proprio contratto, e la cooperativa sta sempre più espandendosi. Ecco come si definiscono:
La prima cooperativa d’Italia formata e gestita dai rider stessi per la tutela dei propri diritti. I primi ad avere un vero CCNL comprensivo di assicurazione e contributi!
È un momento difficile. La cooperazione è una risorsa per il lavoro oggi?
È lo strumento più interessante per affrontare una stagione in cui il capitalismo tradizionale è ormai quasi definitivamente entrato in crisi e la sua marginalità è vicina allo zero. Questo fa si che difficilmente si possa generare ulteriore ricchezza senza ledere la dignità delle persone.
La cooperazione è strumento per costruire protagonismo, responsabilità, fuoriuscita da individualismi e qualunquismi esasperati.
Deve, però, riscoprire i valori che la rendono unica e affermarli con coraggio, anche in controtendenza. Per andare a lenire le sofferenze che si annidano nelle parti più “basse” del mercato, ci sono due sfide: accettare il fatto che là sotto (dove c’è il non mercato) è sporco e confrontarsi con quelle situazioni costringe a sporcarsi le mani e che le soluzioni passano solo dall’accettare che bisogna riscrivere il sistema delle regole non illudendosi che quelle tradizionali siano sufficienti a costruire percorsi di emancipazione e di giustizia.
È il caso di riders e badanti: situazioni di non mercato che, tuttavia, generano economia. Non si può pensare che la soluzione passi solo attraverso l’applicazione incondizionata dei meccanismi di tutela quali i: contratti nazionali, obblighi e adempimenti fiscali e assicurativi.
Questo non vuol dire uscire dalle norme ma ampliare lo spettro degli strumenti a disposizione attraverso una discussione con le altri parti sociali (organizzazioni sindacali in primis) e negoziare in modo responsabile. La cooperazione è l’unica che lo può fare perché è l’unica che fa sì che le persone ingaggiate siano protagoniste del percorso e non solo alla ricerca di un nuovo “buon padrone”.
Chi sono i padroni oggi?
Non esistono più padroni fisici, identificabili in una o più persone, ma fondi, grandi gruppi finanziari, senza volto e senza cuore.
Non si ingaggiano più negoziati con proprietari di impresa e con la loro visione del mondo ma con un management che ha spesso solo interessi di risultato. Bisogna ridare confini fisici al mondo economico facendo leva su uomini e donne e innescando ambiti di interesse reciproco.
Oggi siamo in presenza di uno strano fenomeno: i soldi si sono riaggregati. Le persone no. Bisogna far riparlare le persone e la loro capacità di costruzione di futuro incrociando aspettative e ambizioni.
Come diventa risorsa la cooperazione?
Può valorizzare le persone e il loro apporto professionale a partire dalle capacità di ognuno.
Ha in sé un principio unico: ciò che metto in campo vale se so valorizzare coloro che ho a fianco. È il fare la somma che può fare la differenza.
Ma anche educare a capire che l’equilibrio degli interessi è fondamentale per garantire lo sviluppo di ogni realtà a partire dai luoghi dove ciò si può costruire: assemblea, consiglio di amministrazione, posti in cui si esercita democrazia reale e ci si esercita alla responsabilità comune.
Proprio per questo la cooperazione è un vaccino alla stagione economica e finanziaria che stiamo vivendo: introduce quella scintilla di democrazia che deve essere alla base dell’economia del futuro.
Dove ha avuto successo, le comunità sono buone comunità. Due esempi. Negli USA, dove il capitalismo non è alle prime armi, la cooperazione è al centro dell’aggregazione della domanda nel mercato delle utility. Nei Paesi Baschi, ha saputo rispondere a 360 gradi a una drammatica crisi economica e industriale, mettendosi al servizio di un’azione di governo collettivo del territorio: scuole, università, ospedali, industria. Se negli Anni Settanta erano al collasso oggi, in questi contesti, si parla di internazionalizzazione.
La cooperazione forse non è la soluzione a tutto ma è una comunità volontaria di persone che si aggregano per includere e abbatere muri, l’esatto opposto a dove stanno andando molte realtà un po’ ovunque nel mondo.
La cooperazione può essere una delle risposte a un tempo in cui sta diventa realtà la profezia di Jeremy Rifkin rispetto alla crisi del capitalismo. Dobbiamo essere consapevoli che il passo dopo la marginalità zero è lo sfruttamento.
In questo scenario l’alternativa è ricostruire protagonismo a partire dai lavoratori che possono diventare proprietari di quegli asset che in mano a investitori tradizionali sembrano non costituire più valore. Se una società ha dividendi zero, per l’azionista vale zero ma per per chi ci lavora vale tutto il suo reddito. Per questo vanno incrementate soluzioni come quelle dei “worker buyout”: i lavoratori possono diventare proprietari delle loro imprese.
Ci sono esempi virtuosi?
A Villar Pellice c’è la cooperativa Nuova Crumiere, nata da un’impresa fallita che era stata fondata a fine 800: un telificio industriale che fa calze per rulli industriali: stampa, biscotti, telai delle gomme. Vanno in crisi 30 anni fa e i lavoratori se la comprano e oggi sono alla seconda generazione. Hanno ottimi bilanci e buone performance con prodotti che vanno in giro per tutta Europa.
E poi c’è la cooperativa Codebòfer. Codebò aveva un ramo ascensori e uno di manutenzione ferroviaria. Sono andati in fallimento e il curatore ha trovato un acquirente per il ramo ascensori ma nessuno per la parte ferroviaria. L’hanno rilevata alcuni lavoratori e oggi prosegue la sua attività con grande soddisfazione di tutti coloro che hanno potuto tutelare reddito, lavoro e competenze professionali attraverso questo percorso. Ma potrei fare un lungo elenco a partire da Co.me.r per arrivare a TSA.
Cosa è la cooperazione sociale, da cui lei proviene, in 3 parole?
Sogno, istituzione e prospettive.
Per la mia generazione c’è un tormentone che rende bene l’idea, “eravamo 4 amici al bar che volevano cambiare il mondo” e ci siamo inventati una cosa che non esisteva. C’era un solco e ci siamo inseriti: ragazzi e ragazze che volevano giocarsi una prospettiva di protagonismo al servizio delle persone.
Oggi è diventata un mondo istituzionalizzato con punti di forza, debolezza e responsabilità.
La terza parola è prospettiva: ogni realtà diventata istituzione deve avere il coraggio di guardare cosa c’è dopo di lei. L’istituzione ha il compito conservare e tutelare ma non sarà mai lei a cambiare e innovare.
La sfida della cooperazione sociale oggi è accettare il fatto che ha sognato, ha realizzato e adesso deve capire cosa sarà il domani e lasciare che accada.
Lo insegna la sociologia della scuola Chicago degli Anni 50: il cambiamento avviene fuori dai contesti conservatori. E la cooperazione sociale, dopo aver vinto la sua rivoluzione è diventata conservatrice. Sanamente.
Cosa vorrebbe che succedesse alle cooperative?
Vorrei fosse più presente oggi nel mondo non cooperativo la voglia di capire questo fenomeno; che ci fosse la voglia e il piacere di saperne di più senza partire da quel che si presume di sapere già: affrontare la cooperazione con curiosità, senza preconcetti.
La cooperazione è un luogo pieno di persone che, pur nella difficoltà, cercano di voler bene e avere cura di se e di ciò che è stato loro affidato e, già solo per questo, merita di essere conosciuta e riconosciuta.
Il progetto Storie di cooperazione nasce per raccontare l’esperienza delle tante realtà cooperative che operano sul nostro territorio.
Le interviste sono realizzate dall’autrice e giornalista Francesca Rosso.