Confcooperative

Gianni Gallo

20 Maggio 2020

Storie di cooperazione: Di che cooperazione c’è bisogno?

Inauguriamo, con questo articolo, una nuova sezione del nostro sito: Storie di cooperazione.

Perché raccontare Storie?

Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce.

aforisma di Lao Tzu

Nel nostro caso, potremmo dire che si parla di più di episodi negativi che riguardano le cooperative, casi di mala gestione se non di illeciti veri e propri, di quanto si parla delle tante, tantissime attività e belle esperienze di cooperazione.

Vogliamo contrastare questa tendenza, mettendo in rilievo le belle storie delle cooperative del nostro territorio.

Il progetto Storie di cooperazione è affidato a Enrico Gentina, che raccoglie le testimonianze delle cooperative e ne racconta la storia.

Storie di cooperazione ai tempi del #COVID19

Il primo articolo di questa sezione dà spazio alle parole di Gianni Gallo, Presidente di Confcooperative Piemonte Nord. Durante l’Assemblea annuale, Gianni disegnò la cooperazione del futuro.

Era il 21 febbraio 2020: 2 giorni dopo il mondo conosciuto fino a quel momento in Italia è stato sconvolto dalla prima pandemia mondiale del XXI secolo.

Il virus COVID-19 ci ha obbligato a ridisegnare le nostre vite, i nostri impegni, la nostra organizzazione aziendale. Ci ha obbligato a cambiare prospettiva e a pensare al futuro con nuovi paradigmi.

E così, anche il progetto Storie di cooperazione cambia prospettiva e le prime storie che racconta sono proprio Storie di cooperazione ai tempi del COVID-19.

Il presidente Gianni Gallo riprende il filo del ragionamento iniziato nel corso dell’Assemblea del 21 febbraio e lo attualizza. Un preambolo necessario, che introduce e disegna un fil rouge con cui leggere le prossime Storie.

Di che cooperazione c’è bisogno?

Abbiamo bisogno della cooperazione? Una provocazione, un ragionamento da proseguire.

Dopo ormai due mesi di dialogo con i cooperatori e con i colleghi solo tramite le numerose piattaforme digitali che in questi giorni ci affanniamo ad usare per stare al passo con la rivoluzione digitale dettata dalla crisi del Covid-19, ho voluto soffermarmi a immaginare la fase due e più in generale il futuro dopo la crisi. 

Abbiamo avviato, prima che si profilasse all’orizzonte questa emergenza sanitaria, un progetto finalizzato a raccontare storie di cooperazione.

Oggi, queste storie hanno a che fare con il Covid-19, perché non si può evitare di fare i conti con ciò che che è accaduto e sta accadendo.

Storie che filtrano e assumono nuove forme proprio in queste eccezionali circostanze. Perché è proprio nei momenti di crisi delle certezze che il terreno è fertile per il cambiamento. 

Il cambiamento 

Tra le conseguenze imprescindibili della crisi c’è prima di tutto la certezza che la “normalità” post-Coronavirus sarà comunque diversa da quella conosciuta finora.

L’organizzazione della società e del lavoro si dovrà adeguare ai rischi sanitari che saranno via via identificati.

Le aziende riapriranno e gli stabilimenti riprenderanno la produzione. Ma sarà necessario applicare strette misure per garantire la sicurezza dei lavoratori e dei clienti, che sarà aggiornata continuamente tenendo in considerazione i rischi epidemiologici.

Non solo il layout delle industrie, degli uffici che si occupano di servizi e delle scuole cambierà, ma anche i flussi dovranno drasticamente abbassarsi ed essere regolati da sistemi di monitoraggio. Nel confronto con molte cooperative la percezione del cambiamento che si sarà è tangibile.

Vivere i luoghi della cultura

Theatrum Sabaudie è una cooperativa che si occupa di turismo e visite guidate, specialmente nei musei.

Il suo Presidente Massimiliano Zutta mi ha confessato che auspica che il pubblico che negli anni ha imparato a fruire dei servizi museali, ricominci a vivere la sua vita e riesca ad apprezzare di più e diversamente l’arte e le visite culturali, ma è chiaro che il contesto in cui questo avverrà, vivrà un cambiamento radicale.

Probabilmente verranno posizionati contatori all’ingresso e all’uscita per misurare lo scarto di discesa, con flussi controllati e con la preoccupazione del contatto con il pubblico.

Ci si augura che la paura di incontrare gli altri e il senso di vulnerabilità che stiamo provando in questi giorni si attenuino fino a svanire. Siamo però consapevoli che sia molto complesso liberarsi delle preoccupazioni nate dalla crisi sanitaria. 

L’innovazione, l’ottimizzazione e gli investimenti

Adattarsi significa uno sforzo non indifferente per contenere le spese, vista la crisi economica che ha immediatamente seguito quella sanitaria.

La via più efficace è quella di investire soprattutto sul costo del lavoro e ottimizzare sui costi strutturali, utilizzando al meglio le strutture già esistenti.

Per quanto riguarda ad esempio l’assistenza sanitaria, andrà invertita completamente la rotta, perché se da un lato gli investimenti che già negli anni sono stati fatti in termini di umanizzazione dovranno essere ulteriormente rafforzati a sostegno di una strategia di ulteriore possibilità di isolamento, dall’altro bisognerà sviluppare ulteriormente e in modo massivo la territorialità delle cure a partire dal potenziamento dell’assistenza domiciliare. 

La profilazione domiciliare dei servizi acquisirà una nuova dimensione strategica anche per quanto riguarda l’infanzia, e più che mai i questi dovranno entrare nella logica del sostegno al nucleo familiare in tutte le declinazioni possibili.

La sfida sarà sostenere nel contempo la dimensione educativa e quella della conciliazione dei tempi, dando nuovo valore e funzione (e speriamo garantendone la sostenibilità) alle strutture fisiche esistenti, considerando che gli assembramenti saranno probabilmente visti come un rischio dai genitori. 

La pandemia sa già impattando sulla percezione dell’altro, la vicinanza è ormai vista anche come un potenziale rischio.

I servizi educativi a domicilio

Le cooperative che si occupano di minori e di famiglie sanno quanto è e sarà importante saper offrire assistenza all’interno delle case, quando non sarà più l’utente a recarsi ogni giorno presso i nidi o i centri diurni. 

Margherita Francese, della cooperativa Giuliano Accomazzi, ha interpretato la crisi attuale anche come un’occasione di innovare veramente.

In questi mesi alcuni progetti sono stati riconvertiti in attività online.

L’attività di supporto ed in relazione continua con le famiglie è aumentata molto, sebbene con modalità diverse.

Questa situazione che obbliga ad integrare i servizi con la tecnologia è in realtà un bene, perché la dimensione pubblica e privata sono messe in discussione e si riesce ad esempio ad entrare nelle case degli utenti quotidianamente. 

La rivoluzione culturale

Per rendere evidente come senza volere stiamo affrontando temi che fino a ieri erano tabù uso un esempio insolito ma credo molto esplicativo.

L’adozione delle misure di protezione individuale che andrà ben oltre la fase 2, aprirà un capitolo fino a ieri ancora inesplorato della cultura occidentale contemporanea: quello della copertura del volto, aspetto che tanto ha influenzato la retorica politica negli scorsi anni, nel dibattito contro il velo e nel pregiudizio nei confronti di chi una qualche mascherina la indossa quotidianamente da tempo.

Quella iniziata con il Coronavirus è una vera e propria rivoluzione culturale.

È una crisi che ha un pre- e avrà un post-, che potrebbe indicare il momento di separazione tra due epoche, poiché il mondo post-coronavirus somiglierà a quello precedente, ma sarà profondamente diverso nelle pratiche e nelle preoccupazioni quotidiane e potrebbe influire sulla coscienza collettiva più di quanto possiamo immaginare.

Come in tutti i momenti di rottura, in questa crisi la cooperazione potrebbe rivelarsi una risorsa preziosa per ricostruire un tessuto sociale, umano e lavorativo.

Nel dialogo con i cooperatori spesso si è evocato un concetto di “cooperazione vera”: anche questo concetto dovrà fare i conti con la nuova stagione.

Questo momento lungo e doloroso sta mettendo a nudo parecchi aspetti del nostro vivere quotidiano che davamo per scontati o immutabili.

Stiamo facendo i conti con ciò che è necessario, con ciò che si deve fare, con ciò che bisognerà imparare a fare e a comunicare, a come lavorare e relazionarsi con gli altri, con i tempi, con gli spazi.

Solo così costruiremo la “cooperazione vera” di domani.

Le cooperative, una volta spogliate di strutture e categorie mentali inutili e spesso ormai polverose, possono e devono essere dei luoghi dove il sapere, il saper fare, il saper relazionarsi con gli altri, il saper stare su dei mercati non sempre costruiti su misura e magari poveri, diventano esempio per tutti.

L’economia che ci aspetta va ricostruita a partire dalla trasformazione e non dal ripristino di ciò che c’era.

Nelle cooperative e nelle pratiche che in questo periodo si sono sviluppate possiamo trovare e fare emergere dei semi e delle tracce per la costruzione di un futuro sostenibile e più giusto.

La cooperazione, vocata alla realizzazione del bene comune, questi semi li ha nella propria natura. È questo, il momento, di riscoprire le radici a far germogliare i semi.

Gianni Gallo