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Confcooperative Piemonte Nord

Pubblicato il 29 Aprile 2022

[Il punto] Pubbliche amministrazioni e l’efficienza ambita 

Per anni si è chiesto alla Pubblica Amministrazione di affrontare i temi del contenimento della spesa in modo efficiente e moderno. Si è riformato il codice degli appalti, si sono istituite autority e si è attivato il mercato elettronico. 

Questo, accompagnato dal proliferare di società a controllo pubblico, quando non addirittura in house e che devono gestire in modo adeguato i beni comuni e renderli disponibili ai cittadini alle migliori condizioni possibili. 

Di qui abbiamo assistito anche alla nascita di multiutility quotate in borsa, sovente in competizione tra loro sui mercati, capaci di crescere grazie a una politica di acquisizioni anche molto aggressiva. 

Insomma, tutti pronti ad affrontare il secondo ventennio degli anni 2000 con strutture moderne competitive e adeguate alle sfide che ci attendono. 

Dopo di che, i primi appuntamenti ci stanno dimostrando che purtroppo sotto i nuovi abiti si nascondono le solite abitudini e che queste, sovente, tradiscono incompetenze e incapacità. 

Come al solito abbiamo visto che a fianco di grandi investimenti per nuove infrastrutture e tecnologie, quando si arriva al punto delicato del contenimento dei costi, la soluzione più semplice e immediata da adottarsi da parte dei dirigenti e dei manager segue la solita ricetta. 

Conteniamo il costo delle forniture. Ed è li che scatta l’alleanza con il management delle imprese fornitrici nell’individuare qual è la componente su cui è più semplice fare saving: compressione del costo del lavoro. Quando si riesce, questo avviene spostando nei luoghi più convenienti la produzione (meraviglia della globalizzazione); quando per la tipologia del servizio questo non è possibile, dando il via a una competizione dove il vincitore sovente è il più spregiudicato sul fronte dell’elusione. 

Facile capire come in tutto questo percorso le vittime sacrificali siano i lavoratori, soprattutto, quelli più fragili. 

Questo, mentre le massime dirigenze sono impegnate nel costruire bilanci di responsabilità sociale valutazioni d’impatto, documenti sull’eliminazione della disparità di genere, attivazione di disability manager e formazione di diversity manager. 

Difficile capire quanto tutto ciò sia distrazione o ipocrisia, ma certamente una classe dirigente adeguata e non vittima delle proprie ambizioni e delle richieste di azionisti sempre più voraci tali questioni dovrebbe saperle affrontare con modalità che non affondino i denti nella giugulare delle imprese fornitrici e dei loro lavoratori. 

Creare valore creando povertà è già di per sé un disvalore ma quando lo fanno gli strumenti dello Stato la responsabilità è di una gravità assoluta, se poi dichiarano di farlo per difendere il bene comune siamo alla beffa. 

In tutta questa vicenda le cooperative sono le vittime sacrificali per eccellenza. Raccolgono lavoratori, gestiscono attività labour intensive e sovente sono chiamate a scegliere tra lavori poveri e nessun lavoro. Non è una novità, è così da sempre, i fragili anche quando si organizzano per migliorare le loro condizioni, fanno i conti con la forza di gravità che li tiene vincolati verso il basso; è solo in un sistema che coglie la responsabilità dell’equa distribuzione delle risorse possono dare il meglio di sé. 

Ciò nonostante, negli anni la cooperazione di lavoro ha saputo offrire opportunità, creare emancipazione, addirittura offrire luoghi di partecipazione democratica all’economia e questo in tutti i settori in cui è stata coinvolta. 

Una sorta di miracolo inatteso che ha sollevato incredulità, talvolta invidie e, fortunatamente ha saputo superare anche, sempre, le Inevitabili contaminazioni che ogni esperienza di successo porta con sé. 

Forse, proprio la cooperazione è uno dei pochi contesti che la sfida dell’efficienza non l’ha persa, anzi ha saputo declinarla anche nelle sfide che parevano impossibili. 

È in questo contesto che si colloca l’esperienza dell’inserimento lavorativo dei lavoratori più fragili quelli che dall’esclusione dal mercato del lavoro han pagato il prezzo più alto. Detenuti, ex detenuti, disabili, ex tossicodipendenti, malati psichici… (purtroppo l’elenco è molto più lungo). 

La Città di Torino e le sue Aziende partecipate sono state a lungo in prima fila nell’adottare misure che potessero agevolare lo sviluppo della Cooperazione sociale di inserimento lavorativo consapevoli del ruolo di inclusione che questo soggetto poteva giocare. 

Per anni si sono effettuati appalti che avessero come vincolo per i partecipanti di fare inclusione lavorativa delle fasce più fragili e la cooperazione sociale di inserimento lavorativo non si è risparmiata nel cercare e nell’adottare soluzioni che sapessero coniugare i diritti dei lavoratori con la qualità attesa per i servizi richiesti ed il contenimento dei costi. 

Il contributo dato alla coesione sociale del nostro territorio dall’uso di tale strumento è stato altissimo. 

Ma come sempre anche alle cose belle ci si abitua, delle cose belle ci si disamora e se bisogna risparmiare anch’esse non vengono risparmiate. 

Quindi, di fronte ai grandi problemi di contenimento della spesa pubblica i grandi manager operanti in Città che gestiscono la cosa pubblica hanno, tra le tante, trovato un’unica soluzione: “Continuiamo a fare gli appalti, ma non chiediamo più l’impegno a fare inclusione delle fasce deboli.” 

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: solo più una circoscrizione cittadina chiede nei suoi appalti di rispettare tale impegno nella manutenzione del verde pubblico, GTT ha totalmente eliminato tale impegno da tutti i suoi capitolati d’appalto e AMIAT (Iren) ha ridotto il numero di servizi che avevano tale impegno compreso nel contratto. 

Eccola la soluzione: travestita od esplicita, viva la logica del massimo ribasso! Che efficienza sia, magari anche imbellettata di ipocrita trasparenza. 

A problemi complessi soluzioni semplici. Poco importa se a pagare il costo sono i lavoratori più fragili 

Noi ci aspettiamo che chi ha messo nel suo progetto politico il lavoro al centro sappia sia coniugare la dignità del lavoro e dei lavoratori con le indiscutibili complessità di bilancio che non ci sono certamente sconosciute e sappia anche scegliere dirigenti capaci di concentrarsi sul compito assegnato che è molto più complesso della semplice tenuta di bilancio o della massima remunerazione del capitale dei soci. 

In conclusione, un’immagine di come non vorremmo più veder affrontati i problemi da domani: Qual è il problema! Voi dite che 13.13 euro all’ora sono pochi! Noi abbiamo sentito diversi fornitori che ci dicono che sono più che sufficienti. 

Con un’impostazione simile ci si dimentica di una cosa: a quelle cifre a base d’asta non è possibile applicare alcun contratto di lavoro. 

Ma non ci sfugge il paradosso: alla fine le vittime diventano i colpevoli. Se poi ad essere coinvolte sono cooperative il superlativo è d’obbligo….. 

La colpa di tutti i mali non è in capo a chi gestisce in modo inadeguato il sistema degli appalti, ma di chi vi partecipa. D’altronde è ovvio che cercare a tutti i costi di lavorare è una colpa da cui ci si può mondare solo con l’auto esclusione dal mercato, pena lo stigma sociale (cooperative responsabili di lavoro malpagato, colluse e autrici delle peggiori nefandezze). Meglio il reddito di cittadinanza, pochi maledetti, ma almeno denaro di Stato immacolato. 

E chissà. Prima o poi un premio a un gruppo selezionato di benemeriti che non si sono piegati a queste pratiche arriverà: un bel lavoro nella Pubblica Amministrazione (che a quanto pare paga adeguatamente solo sé stessa). 

Buona Festa del Lavoro a tutti, soprattutto ai cooperatori, lavoratori coraggiosi. 

Gianni Gallo

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