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Confcooperative Piemonte Nord

Pubblicato il 3 Giugno 2021

[Riflessioni] Il cambiamento sta arrivando. Ma quale cambiamento?

Quando si parla di corpi intermedi e del loro ruolo ci si trova immediatamente avvolti in un dibattito tra addetti ai lavori ovattato ma feroce. La parola d’ordine è disintermediazione.

Per molti versi assomiglia a un’altra parola di cui si è recentemente abusato, rottamazione, e questo fa molto pensare, soprattutto quando ci si accorge che chi la pronuncia con più forza, la pone alla base di un “pensiero comune” che forse di comunitario ha molto poco; sovente, invece, nasconde la volontà di una nuova élite di farsi largo negli equilibri esistenti.

Ma dietro l’istanza di rinnovamento si comincia a intravedere che in realtà c’è anche l’esigenza di creare spazio eliminando attori esistenti per sostituirli con attori nuovi.

Intendiamoci, nulla di trascendentalmente nuovo: è così che funziona da sempre e non siamo certo in presenza dell’innovazione del terzo millennio.

Questi pensieri sono i primi che sorgono quando ci si sente dire che è finita la stagione dei corpi intermedi; che serve costruire percorsi di accompagnamento e di sviluppo della rappresentanza al mondo reale, più vicini alla quotidianità che oggi la società vive. Il tutto condito in salsa ICT e Finanza d’Impatto.

Le prime reazioni sono di fastidio prima e di paura poi.

Il fastidio è facile da descrivere e sviluppa pensieri semplici: “Provateci voi! Vedremo alla fine se combinerete qualcosa! Ma non sapete neanche di chi e di che cosa state parlando!”

Le domande sono quelle che ha ben codificato il pensiero kafkiano quando la paura si insinua nell’animo dell’uomo: Ma non è che per caso siamo ormai totalmente distaccati dalla realtà delle cose? Non è che, come al solito, gli interessati -noi- sono gli ultimi a capire il problema? Possibile che ci siamo talmente burocratizzati da operare ormai solo più in autotutela e non a tutela dei valori che ci hanno dato i natali?”.

Questa è l’onda emotiva che assale realtà associative, come Confcooperative, quando affrontando i temi dell’innovazione sociale e ci si trova davanti a nuovi attori che a incedere sicuro si fanno largo nel panorama della rappresentanza degli innovatori e dei servizi agli innovatori.

Emozioni acuite da alcune consapevolezze: alcuni nuovi attori operano con fondi e risorse di provenienza pubblica e privata che permettono loro di rivolgersi ai nostri mondi tradizionalmente rappresentati come portatori di grandi e innovativi saperi ma soprattutto di ori e di argenti. Altri, sono sostenuti da formule legislative che concedono loro finanziamenti cospicui legati non tanto al fare quanto all’esistere.

La competizione è improba ma soprattutto, asimmetrica.

I soggetti tradizionali per esistere e per svolgere la propria funzione devono chiedere ai propri associati risorse e qualcuno invece può permettersi di rappresentare interessi e orientare politiche senza essere legato alle risorse di coloro a cui destina il proprio sostegno.

Ogni volta che si sono svincolati i rappresentati dalle risorse che sostengono la rappresentanza, abbiamo assistito a fenomeni di strumentalizzazione politica.

Interessante notare, in tutto ciò, che tutto quanto descritto qui sia propugnato a volte da quella parte di élite che dall’esasperata competizione presente in alcuni contesti ne è uscita disgustata o consumata e che parla dell’innovazione sociale come Nuovo Rinascimento. Non tiene conto in tutto ciò, che per fare cose nuove servono uomini nuovi e che non basta cambiare confezione per essere nuovi quando il contenuto rimane immutato.

Due aspetti stanno emergendo in questi ultimi mesi e sembrano -per fortuna?- per l’ennesima volta dar ragione a chi pazientemente si è seduto sul bordo del fiume.

Da un lato alcune roboanti iniziative d’innovazione sono state, purtoppo, perchè i fallimenti specie se enfatizzati dai media non aiutano mai, costrette ad alzar bandiera bianca dopo aver consumato totalmente la dotazione di partenza loro assegnata e aver insieme ai loro finanziatori seminato cultura d’impresa che a conti fatti si è rivelata poco sostenibile e speriamo di non vedere ulteriori realtà seguire le stesse orme.

Dall’altra, tutte le iniziative che guardano al futuro e cercano di attivare sperimentazioni brillanti e lungimiranti trascurano il fatto che solo affondando in modo molto vigoroso le fondamenta dentro le realtà di base che già esistono si può ipotizzare di costruire futuro solido.

Affiancare le realtà esistenti dipende anche dalla capacità di sollecitare, attivare e accompagnare le rappresentanze da sempre rappresentate dalle associazioni di tradizionali tutelando così un patrimonio che è fatto di decenni di investimento da parte delle comunità che le hanno generate.

Rivolgiamo un invito a tutti questi soggetti che oggi si fanno portatori di grandi strategie per innovare la rappresentanza e per disegnare futuri perfetti che al primo contatto con la realtà si sfaldano:

i corpi intermedi non sono da eliminare per poi prenderne il posto o sostituirli con strumenti che rispondono a delle proprietà, magari senza volto e responsabilità, ma sono da riconoscere e rifondare.

Per fare questo bisogna mettersi al loro fianco, co-progettare e ridisegnare il loro modello di funzionamento aiutandoli a ritrovare coerenza, significatività e sostenendoli nella tutela di valori nei moderni scenari, questo vuol dire restituire alle comunità le risorse che sono state loro consegnate.

Il nuovo, elemento necessario di rinnovamento di ogni organismo, è fatto di rigenerazione, rinnovamento ed ibridazione, non di sradicamento e distruzione.